4 – OMBRE D’AMORE

Va' o canto mio su assolati pendii,
su tristi pensieri di pianti e di addii;
rimembra le notti trascorse sognanti
mirando faville di lumi vaganti;
cancella sorrisi sui visi già nati,
ridona alla mente lontani passati.

O tu dolce luna d’antichi sospiri,
riversa nel rigo le storie che ammiri,
cattura la mano dell’umile servo
donandole il balzo dell’agile cervo,
mitezza di lupo, dolore d’agnello,
notturno candore di volo d’uccello.

La vita s’inizia d’esequia già nota,
deserta la tomba di terra devota;
un’ombra veloce cavalca sicura
nell’orrida pace montuosa pianura,
bagliore improvviso le tenebre uccide,
alata figura fluttuante sorride.

Giovane amico dall’animo perso
la mente abbandona nel cielo più terso,
rifugia i pensieri in forzieri sicuri,
distruggi gli amori degli animi puri,
rifuggi l’oblio di operosa follia,
compiangi illusione di eterna armonia.

Di spirito pieno costante la morte
silente gemente lontana la sorte
miserrimo uomo d’amore malato,
eterna speranza di fuoco mai nato;
libando faville di muse votive,
di spenta la luce chi sa ma non vive.

Vagando lontano la vita cercando
sull’orrido masso il piè reclinando;
fuggendo di Zefiro audace la brezza
ricerca la dolce divina carezza
che mente distacca dal piccolo cuore
che lacrima versa sul tempo che muore.

Ormai non sopita passata illusione
tramuta la laude in fatale pozione;
si chiudono i cirri, si spegne la luna,
rincorre il destino migliore fortuna.

Del lago vicino la riva bagnando
fanciulla infelice cammina cantando.

O specchio di quarzo d’oscuro dolore
che lesto rifletti degli astri il bagliore,
cattura del buio la gelida pace
che candida rompe colei che non tace;
si sveglian le fiere incantate del bosco,
lacustri creature che ancor non conosco.

Qual folle si desta l’amante estasiato,
di Venere segue quel canto dorato;
il morbo improvviso restringe le spire,
infuocato lamento comincia a fuggire:
devoto quel lume gli mostra il cammino
che all’acque conduce di primo mattino.

Sull’erba dormente figura celeste,
sporcata di sangue la candida veste;
la guarda, la chiama, ma muta è la bocca,
la fredda già mano distrutto le tocca:
quel ferro crudele purpureo macchiato
gli penetra incerto nel bianco costato.

Il sole è ormai alto, la luna smarrita,
la storia del mondo è sì quasi finita;
sul lago ora soffia un sospiro, una brezza
che i folti canneti dolente accarezza
levando fugaci tristissime voci,
d’amanti sepolcri scuotendo le croci.